Al via il Premio Brignetti 2016

17 Nov
17 Novembre 2015

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Anche quest’anno prende il via il Premio Internazionale di Letteratura Isola d’Elba-Brignetti. Un premio che ha ormai 44 anni e che si è ritagliato uno spazio di indiscussa autorevolezza nel panorama letterario nazionale.
Geno Pampaloni il grande maestro di letteratura e nume tutelare del Brignetti lo voleva “austero e silente”.  “Austero” lo è rimasto nella discrezione dei suoi giurati, nella sobrietà delle sue manifestazioni esteriori, nella compiuta riservatezza e libertà delle riunioni della giuria letteraria.
Per quanto attiene il “silente” lo è forse un po’ meno a beneficio dei lettori, delle case editrici e dell’Isola d’Elba che con la sua insularità sembra appunto precostituire un quasi splendido distacco.
Il Bando Internazionale arrivato in questi giorni a tutte le case editrici è l’inizio di un percorso che si conclude poi con il lavoro di tanti silenziosi volontari nella serata della premiazione (9 Luglio 2016).
Un premio letterario non è mai ripetitivo: la ninfa vitale gliela danno gli autori e le loro opere. L’intrecciarsi di narrativa, poesia e saggistica ne fanno un caleidoscopio affascinante e ogni anno la letteratura italiana ed europea ci riserva sorprese.
Il fine ultimo resta sempre quello: educare alle buone letture ed appassionare i giovani all’amore per i libri. Le grandi opere mettono in bella mostra i dilemmi esistenziali della vita ed aiutano ciascuno di noi ad arricchire di sensazioni particolari lo “zainetto di emozioni” che ci trasciniamo dietro per l’intera esistenza.

Il riformismo di Amintore Fanfani

06 Nov
6 Novembre 2015

Amintore Fanfani

Il riformismo di Amintore Fanfani è stato dal ‘46 ad oggi il più autentico e sostanziale tentativo di riformare il Paese. Esso ebbe certo in De Gasperi una levatrice benevola ma fu l’irruento aretino a determinare le condizioni di un cambiamento profondo nella storia sociale italiana.
Tre le caratteristiche generali sulle quali oggi ci soffermeremo che portarono a compiuta maturazione il riformismo fanfaniano.
La prima è la grande influenza spirituale che La Pira esercitò su Fanfani. La Pira fin dai primi anni della sua permanenza a Firenze nutre una particolare venerazione per la grande figura del Card. Dalla Costa e sarà da questi ampiamente ricambiato nella considerazione. Per lunghi periodi La Pira si reca dal cardinale ogni sera, consuma con lui cene frugali e scambia valutazioni su quanto accade nel mondo e nella Firenze del tempo, alternando queste valutazioni ad una sofferta lettura della Bibbia. Quando nel 1951 l’acuto Renato Branzi spiegò a De Gasperi e a Fanfani che l’unico modo di battere le sinistre a Firenze era quello di candidare Giorgio La Pira a sindaco di Firenze, La Pira rifiutò con tutte le sue forze. Ma la caparbia e generosa insistenza di Renato Branzi e la silenziosa spinta di don Facibeni alla fine fecero breccia nella sua armatura facendogli balenare la possibilità di fare del bene per la povera gente. Molte persone di valore accettarono di avventurarsi in quella amministrazione che con La Pira non fu ne ordinaria ne tranquilla ma sicuramente memorabile e messianica. Del resto la Firenze di allora era veramente unica: basti ricordare che nel salotto di don Bensi la sera dalle 6 alle 8 si riunivano a parlare le migliori energie della città e spesso nel dibattito spiccava l’acuta intelligenze di Calamandrei e di Momigliano.
La vicinanza di La Pira colpì molto Fanfani che nel frattempo aveva dato il meglio delle sue energie nell’appoggio al governo De Gasperi con i progetti di un vasto piano di sviluppo del Paese predisposto dai suoi amici “di Cronache Sociali ed imperniato: su una riforma agraria che trasformasse i contadini in proprietari agricoltori diretti; su una riforma fiscale con una imposizione progressiva sul reddito; sulla realizzazione di grandi infrastrutture autostradali per impiegare mano d’opera disoccupata e sviluppare la motorizzazione popolare e il trasporto di merci su gomma. L’attuazione di questi progetti – precisò Fanfani – era ormai condizione pregiudiziale per la permanenza al governo del gruppo di Cronache Sociali. Il piano fu approvato dopo tre mesi”. (cfr Ettore Bernabei – Sergio Lepri “Permesso, scusi, grazie” pag. 97 Rai ERI).
Si sviluppava nel frattempo feconda la capacità di Fanfani di anticipare la comprensione dei fenomeni sociali anche di decine di anni. Fanfani era rimasto enormemente colpito, nel primo newdeal di Roosevelt (1933-1937), dalla creazione della Tennessee Valley Autorità (TVA) che sfruttava il bacino del fiume Tennessee per costruire dighe e centrali idroelettriche. In una nota inviata il 10 aprile 1933 al Congresso, Roosevelt suggerì di creare questa azienda come “una corporazione pubblica, ma in possesso della flessibilità e dell’iniziativa tipiche di una impresa privata. Essa dovrebbe avere il più ampio dovere di pianificare l’uso corretto, la conservazione e lo sviluppo delle risorse naturali del bacino idrografico del fiume Tennessee e il suo territorio adiacente per il benessere sociale ed economico generale della Nazione”. La TVA permise a numerosi stati di ottenere energia elettrica a basso costo garantendo così un celere sviluppo economico e una migliore qualità della vita.
La terza caratteristica che oggi appare straordinaria del riformismo fanfaniano era la metodologia. L’uomo prima studiava il problema poi operava per la creazione di un progetto che appunto lo risolvesse ed infine, impetuosamente quasi, lo risolveva. Cinquant’anni di vita democratica ci dicono che purtroppo ci siamo trovati di fronte a molti studiosi, a molti che predisponevano progetti e a pochissimi che li realizzassero compiutamente. Per questo ogni ricerca storica farà gradualmente crescere l’importanza nella vita e nella crescita sociale del Paese del riformismo fanfaniano e del fanfanismo in generale.

Renzi, Tronca e il calcio di rigore

03 Nov
3 Novembre 2015

Renzi e Tronca

Non siamo renziani né della prima né dell’ultima ora, ma osservatori che si sforzano di essere obiettivi certamente sì. Ed allora bisogna dire che Matteo Renzi ha vinto la partita dell’Expo e al 94° minuto ha battuto anche un perfetto calcio di rigore con la nomina di Francesco Tronca a commissario per Roma.
Non mi soffermerò qui sul successo dell’Expo e sul perfetto funzionamento della Prefettura di Milano, perché l’ho fatto già in precedenti articoli per i miei quindici lettori.
Ma è un fatto che Renzi si sia speso con testardaggine e cocciutaggine in un clima di battute ironiche sul risultato dell’Expo. Il successo è stato innegabile e, se fosse stato aperto ancora due mesi, avremmo sicuramente superato la soglia dei 25 milioni di visitatori. Ma tant’è.
E veniamo al calcio di rigore. Nel campionato di calcio, come in quello del potere, non sempre ti fischiano un rigore a favore. La regola è che, se ti fischiano un rigore a favore, non lo puoi assolutamente sbagliare.
A dire la verità, e a pensarci bene, in settimana il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone aveva fornito al premier un quasi assist. Ma il calcio di rigore è stato la coincidenza della chiusura dell’Expo e delle rocambolesche dimissioni del sindaco Ignazio Marino.
“Hic et nunc”, avrebbero detto gli antichi abitanti di Roma. E mentre le burocrazie imperiali valutavano e soppesavano, Renzi ha tirato, con la nomina di Tronca, il più classico dei rigori. Palla a sinistra e portiere sdraiato a destra, mostrando capacità intuitiva e rapidità di esecuzione.
C’è poco da aggiungere.

Schengen, non solo un problema culturale

28 Ott
28 Ottobre 2015

immigrati-autostrada

di Alberto Brandani, da Formiche.net

Quasi al confine fra i continenti di Africa, Asia ed Europa, l’Italia con la sua singolare morfologia si immerge in un mare, il Mediterraneo, che da secoli è luogo di scambi e contaminazioni; un Paese con una storia ricca e complessa i cui principali personaggi storici – Dante, Garibaldi, Mazzei, Meucci, Fermi, … – non di rado furono esuli, rifugiati, emigranti che hanno imparato sulla propria pelle “come sa di sale/ lo pane altrui”, al pari di ogni altro esule, rifugiato o emigrante di ogni tempo. Non diversamente è andata in Europa che fino agli anni Quaranta è stata quasi esclusivamente una terra di emigrazione verso le Americhe e l’Australia. E proprio da un continente come il nostro, con una cultura solida quanto vivace e democratica, ci si sarebbe forse potuti aspettare un approccio diverso al fenomeno immigrazione, meno impaurito e sicuramente più pragmatico, ma così non è stato!
Ogni giorno migliaia di rifugiati e migranti tentano di attraversare le frontiere europee in cerca di protezione o di una vita migliore. Mai prima d’ora così tante persone avevano rischiato la vita per raggiungere il continente via mare. Nei primi sei mesi dell’anno più di 137.000 tra rifugiati e migranti sono sbarcati sulle coste spagnole, italiane e greche; secondo l’UNHCR, si tratta soprattutto di persone in cerca di protezione, in fuga dalle guerre in Siria, in Afghanistan o dalla dittatura eritrea. Sempre l’UNHCR stima che globalmente sono quasi 60 milioni le persone che nel 2014 sono state costrette ad emigrare a causa di guerre, persecuzioni, violazione dei diritti umani, ecc. ma solo una piccola parte di queste sono fuggite verso l’Europa!
Nonostante ciò quando alla freddezza dei numeri si sovrappongono le storie delle persone la realtà assume i connotati del dramma. Di fronte a questa emergenza è amaro constatare quanto sia profondo l’abisso tra l’urgenza della “crisi migratoria” ed i tempi ed i modi con cui l’Europa cerca di affrontarla. Con le frontiere sotto pressione ed i nuovi picchi negli arrivi, diversi Paesi hanno finito per ripristinare i controlli “temporanei” alle frontiere, usando la deroga prevista dagli accordi di Schengen, e dopo l’annuncio della Germania è stata la volta di Austria e Slovacchia ma, con differenti livelli di intensità, si sono accodati anche altri Paesi.
Il problema è soprattutto culturale, la libertà di movimento e Schengen sono messe in discussione ed un arretramento, o peggio ancora una implosione, su questo versante potrebbe portare a sviluppi imprevisti per la stessa UE; ma presenta anche risvolti economici e trasportistici non secondari. Sicuramente sulla fluidità di movimento delle persone, ma non solo. Le cronache ci hanno raccontato, infatti, di lunghe code di camion e rallentamenti alle frontiere che hanno determinato ritardi tali da mettere sotto pressione l’intero processo logistico che sottende alla mobilità delle merci in Europa, soprattutto per quelle che viaggiano lungo le direttrici verticali. Fatti di cronaca questi che ci fanno intuire che se entra in crisi Schengen entra in crisi anche un certo tipo di logistica che negli ultimi decenni ha fatto forza pure sulla libertà di movimento e sulla velocità di attraversamento delle frontiere dell’area.
Che ad essere trasportati siano medicinali, prodotti deperibili, poltrone o pezzi di ricambio per le auto, poco cambia! Il rispetto dei tempi di trasporto e consegna è un elemento di qualità imprescindibile nei moderni sistemi logistici in quanto si ripercuote sulle diverse fasi della produzione che seguono (o anticipano) quella del trasporto.
Il rischio è di dovere ridisegnare nelle direttrici e nelle modalità percorsi prima ampiamente strutturati con effetti che implicherebbero un ripensamento della filiera distributiva nonché, almeno nell’immediato, il livello e la gestione delle scorte. Circostanze queste, che incidendo direttamente sui costi industriali, necessariamente finiscono per ripercuotersi sui flussi di cassa delle imprese e sui prezzi per i consumatori.
Difficile quantificare le ripercussioni economiche. Una prima stima di settore ha provato a farla l’associazione delle aziende di autotrasporto dei Paesi Bassi che, nel caso venissero ristabiliti i controlli alle frontiere di tutti i confini dello spazio Schengen ed immaginando di accumulare un ritardo di un ora per ogni frontiera da attraversare, stima un danno per il solo settore dell’autotrasporto olandese di circa 600 milioni di euro. In termini di tonnellate l’autotrasporto olandese, depurato della componente nazionale, rappresenta ovviamente una percentuale significativa di quello equivalente dell’Unione europea, ma pur sempre inferiore al 13%; facile allora intuire quale potrebbe essere il costo cumulato di una eventualità del genere per l’intera Unione. Le ripercussioni per l’Italia potrebbero essere anche più importanti in ragione del fatto che proprio il mercato europeo e tedesco rappresentano le destinazioni privilegiate dell’export nazionale (la Germania, in particolare, è il primo partner commerciale per il nostro Paese, con un interscambio bilaterale che nel 2014 è stato di circa 103 miliardi di Euro).
Quello che sembra affiorare, a trent’anni dalla stipula dell’accordo di Schengen (il trattato fu firmato nel giugno del 1985, Italia vi aderì nel 1990), è una verità amara: forse tre decenni non sono bastati a creare un senso di appartenenza ad una comunità, basato su pochi principi comuni come la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto ed il rispetto dei diritti umani. E questo presenta importanti risvolti sociali, ma anche economici soprattutto in un momento in cui si tenta con difficoltà di uscire dalla lunga fase recessiva degli ultimi anni.

Positiva la stagione del turismo elbano, ma ripresa favorita da circostanze irripetibili

19 Ott
19 Ottobre 2015

L’intervista di TeleElba al Prof. Alberto Brandani, a margine dell’assemblea degli albergatori elbani.

I dubbi amletici dell’Auditel

16 Ott
16 Ottobre 2015

Auditel

Di Alberto Brandani, da Formiche.net

Come evidenziato dal Corriere della Sera è stata violata la segretezza e l’anonimato delle famiglie Auditel, presupposto fondamentale per l’attendibilità dei dati. Tutto questo ha fatto emergere le tante incongruenze del sistema, ritenuta a torto una religione monoteista. Le famiglie Auditel sono poco più di 5mila, ma vengono prese in considerazione più o meno la metà alla volta.
L’Auditel è basato su un sistema macchinoso che alla luce delle nuove tecnologie appare anacronistico e obsoleto. La famiglia sorteggiata deve accettare di far allestire un apparecchio dentro casa e deve indicare ogni volta il numero di persone che guarda la TV, se qualcuno si assenta, va in bagno o si alza a telefonare lo deve indicare. Può accadere che accenda la TV e non il meter e viceversa. Troppo margine di possibile errore. La patata è davvero bollente “non una falla da poco, 4.000 famiglie su 5.700 a blocchi da mille. In pratica ogni famiglia ha avuto contezza degli indirizzi email di altri 999” (cfr. Sole24Ore di mercoledì 14 ottobre 2015). Allora alla luce di queste riflessioni i target predisposti sono ancora attendibili? I tanti canali rendono davvero complicato il conteggio.
L’impressione è che l’Auditel ci racconti un’Italia peggiore di quella che in realtà è inseguendo la pancia del Paese. Spesso dai sondaggi emerge un’Italia che poi infatti smentiscono almeno nelle proporzioni. Come avviene nelle votazioni elettorali.
Il Corriere ha intervistato una famiglia Auditel che ha denunciato diverse irregolarità. In passato lo stesso lo fecero Repubblica ed altri giornali. La stessa famiglia aveva già rifiutato alcuni anni fa, ma è stata nuovamente sorteggiata.
L’impressione è che lo status quo convenga a chi detiene potere e risorse economiche privilegiando logiche esclusivamente commerciali.
Il fatto che il campione possa essere indirizzato e drogato all’origine e che gli stessi ascoltatori Auditel possano essere influenzati appare molto più di un’ipotesi. Una macchina che genera miliardi potrebbe indurre in tentazione?
Si arriva dunque al problema dei problemi, sospendere o no l’Auditel in attesa di una riforma seria che tenga conto dei tanti cambiamenti in atto? Ne gioverebbe anche la qualità del servizio pubblico. D’altro canto è anche vero che uno stop alla rilevazione e alla pubblicazione dei dati bloccherebbe anche il cosiddetto meccanismo del post che è una formula contrattuale tra inserzionisti e broadcaster che funziona così: ti vendo avendo una base contrattuale ipotetica di audience e successivamente ricalibro il quantum pagato alla effettiva rilevazione.
Ma su tutto questo emerge poi un’osservazione di metodo. Il presidente e lo stesso direttore generale sono in carica dalla nascita di Auditel (31 anni, 1984). Dal 1984 sono cambiati 3 Papi (Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI, Papa Francesco), in Italia numerosi Presidenti del Consiglio (circa 9),  in America numerosi Presidenti. In Auditel sempre Malgara e Pancini.
Famiglie, operatori e uomini dello spettacolo sostengono che andrebbe rilevato direttamente su quale programma sia sintonizzato il televisore. Noi poniamo solo un problema in uno spirito costruttivo nei confronti sia di Auditel che di Agcom.
La legge istitutiva pone l’Auditel sotto il controllo di Agcom che ne ha anche l’onere della rilevazione. La domanda è: perché non si occupa Agcom di effettuare direttamente la rilevazione e la relativa pubblicazione?
Come diceva Pasolini. Io so, ma non ho le prove.
Noi invece non siamo Pasolini e vorremmo come utenti normali semplicemente essere rassicurati. Scrivevamo questo cose qualche anno fa sul Riformista e la risposta fu… un silenzio tombale.

Sarebbe una manna prorogare l’Expo di 2 mesi

10 Ott
10 Ottobre 2015

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Di Alberto Brandani, da ItaliaOggi

Si sa bene che il B.I.E (Ufficio Internazionale delle Esposizioni) è contrario a priori a ogni proroga se non in casi eccezionali. Sappiamo anche che un’eventuale proroga comporterebbe la necessità di rifare in tempo reale centinaia e centinaia di contratti di lavoro. Ma, detto questo, ci permettiamo di insistere. Milano, il Comune, il perfetto coordinamento che la prefettura ha fatto di tutti i corpi dello Stato, la vitalità del tessuto economico milanese, la spettacolare capacità di programmare eventi (ad esempio in questo weekend si svolgono a Milano tanti eventi culturali e di costume quanti a Parigi) e l’infinito numero di richieste, fanno capire che una proroga, anche di soli due mesi, permetterebbe a centinaia di migliaia di visitatori stranieri di abbinare il percorso spirituale del Giubileo ed il percorso laico dell’Expo, e continuerebbe a rimpinguare anche le casse fino a raggiungere, ne siamo certi, un sicuro pareggio. Permetterebbe poi al dibattito su cosa far dopo di decollare più compiutamente. Noi peraltro, le nostre idee le abbiamo da tempo: attivare la creazione di un gigantesco campus per la ricerca, l’innovazione e le tecnologie.
La piastra centrale dell’Expo è nel sottosuolo dove è stata installata una miniera di disposizioni tecnologiche pronte a molteplici usi; sarebbe delittuoso utilizzarla per scopi magari benemeriti ma che distruggessero tali preziosi predisposizioni tecnologiche. Anche l’idea di lasciare il solo padiglione Italia ci pare francamente irrealistica. Già vediamo la scena: transenne da tutte le parti e tutto il resto? Gli ambienti imprenditoriali di Milano hanno la capacità di disegnare un tessuto connettivo e anche i paesi che vogliono smontare i loro padiglioni siamo certi che ad un prezzo modico li lascerebbero volentieri dove sono. Quindi avanti con coraggio, italica fantasia e imprenditorialità lombarda che in Europa non è seconda a nessuno.