Archive for month: Febbraio, 2018

Sulle infrastrutture l’Italia è sulla buona strada. Ma l’Europa deve darle una mano

25 Feb
25 Febbraio 2018
Da Formiche.net 
Colloquio a 360° con il presidente di Federtrasporto. Dal caso Ntv al ruolo dell’Ue

I treni Italo che parlano americano, ma anche un Paese all’eterna ricerca di un giusto equilibrio tra infrastrutture efficienti, se non altro nuove, senza però sprecare denaro pubblico. E l’Europa, che non può certo starsene alla finestra mentre l’Italia cerca un rilancio nei trasporti, nelle ferrovie e nelle strade. Alberto Brandani, presidente di Federtrasporto, l’associazione confindustriale di settore, offre un’ampia panoramica dei mali che affliggono l’Italia se il tema è quello, scottante, delle infrastrutture.

Presidente, partiamo da Italo. Il 2018 si è aperto con un’operazione industriale di peso, come non se ne vedevano da tempo. La cessione di Ntv al fondo americano Gip. La convince?
La giudico una operazione industriale che il fondo americano Gip ha attentamente soppesato ritenendola interessante. Come sicuramente ricorderĂ , si tratta di un fondo che ha a disposizione 50 miliardi di dollari per investimenti nel campo infrastrutturale. Non si tratta quindi di una operazione finanziaria ma di una partecipazione squisitamente industriale.

In molti si chiedono se gli americani che hanno comprato i treni Italo potranno secondo lei apportare quelle risorse che forse mancavano nell’azienda con i vecchi soci?
Non è che ad Ntv mancassero risorse in senso stretto. Vi era un progetto di quotazione in Borsa molto avanzato. Sicuramente gli americani sono stati affascinati dall’ipotesi di creazione di un network europeo e in tal senso le loro disponibilità economiche potrebbero fare la differenza. Vorrei segnalare come questa operazione dimostri la completa liberalizzazione in Italia del mercato dell’Alta velocità. Vorrei sperare che con l’approvazione del IV° pacchetto 2020, tale liberalizzazione del mercato fosse effettiva anche nel resto d’Europa.

Parliamo delle infrastrutture, provando ad allargare il ragionamento. L’Italia continua a soffrire di un enorme gap soprattutto in quelle relative ai trasporti. Ma dove sta il problema? Forse parlare di scarse risorse da parte dello Stato sarebbe riduttivo, condivide?
Ho già avuto modo di dire che dobbiamo pensare ad un piano infrastrutturale di nuove opere pubbliche per un verso e per altro grandi investimenti nella manutenzione costante e significativa, così come nell’adeguamento delle opere già in essere non escludendo una rivisitazione del codice degli appalti che ci allinei alle best practice europee in tal senso. Assoluta priorità è da accordare alle connessioni di ultimo miglio di porti, interporti, centri intermodali e aeroporti.

Non ci dimentichiamo delle ferrovie…
Certo. Va altresì ricordato come per il settore ferroviario l’allocazione delle risorse economiche abbia visto una decisa accelerazione (si pensi che il valore delle opere infrastrutturali in corso inserite nel Contratto di Programma di Rfi, di 66 miliardi di euro, è stato finanziato per circa il 50% negli ultimi tre anni) su opere prioritarie che nel loro complesso ed in maniera sinergica risolvano almeno i punti più critici del trasporto di persone e merci.

C’è però un problema di sicurezza nella rete, soprattutto in quella regionale…
La sicurezza per il sistema ferroviario è sempre stata una priorità, senza distinzione tra tipologie di linee e di trasporto. La sicurezza si basa su tre sottosistemi: quello delle regole, quello, tecnologico e quello umano. Proprio per questo sono stati fatti negli anni ingenti investimenti in tecnologie di sicurezza: basti pensare che oggi la rete italiana è l’unica in Europa ad avere il 100% di copertura con il sistema di controllo della marcia dei treni, che ha azzerato l’incidente più insidioso che è la collisione tra treni, mentre tanta tecnologia, anche di controllo remoto dell’infrastruttura e dei treni, consente diagnosi in tempo reale o in tempi brevissimi dello stato di alcune parti critiche.

Scorporare la rete, oggi gestita da Rfi, ovvero le Fs, come fatto nel Regno Unito, potrebbe essere un’idea per alzare gli standard?
Il miglioramento continuo, che si persegue per la sicurezza mediante una costante attività di analisi dei rischi e della ricerca e sviluppo di nuovi sistemi mitigativi che riducano la discrezionalità dell’uomo, ha dato frutti tangibili, con una significativa riduzione degli incidenti certificata negli anni da tutte le analisi ed i rilievi fatta dalle Agenzie di Sicurezza. E questi risultati sono stati raggiunti con l’organizzazione attuale: scorporare la rete gestita da Rfi non è quindi una necessità o una decisione che ha che fare con la sicurezza. Visti i risultati non proprio brillanti di quanto accaduto in Gran Bretagna è in corso in quel Paese un dibattito sull’opportunità di riaccorpare rete e servizi di trasporto.

Dal ferro alla gomma. Ovvero le infrastrutture viarie. Spesso Non all’altezza di un Paese del G7. Che si deve fare?
Le autorità di governo sostengono che vi sono i progetti e i conseguenti accantonamenti economici, bisogna allora domandarsi dove sia il problema. Forse dobbiamo disboscare dal punto di vista della essenzialità l’enorme intreccio burocratico che avvolge il settore. Ma al tempo stesso dobbiamo spingere per un reperimento di risorse che coinvolga l’Europa. Un’Europa che potrebbe liberare risorse per investire in infrastrutture, ricerca e innovazione e formazione fino a 93 miliardi di euro nel prossimo quinquennio.

Il Prof. Brandani, Presidente Federtrasporto, all’assise di Verona: “Le proposte di Confindustria alla Politica”

17 Feb
17 Febbraio 2018

Il prof. Alberto Brandani, Presidente di Federtrasporto, intervistato dal Tg5 a margine dell’Assise Generali di Confindustria tenutasi a Verona.

“Il fascino immortale della Dc”, di Marcello Sorgi

03 Feb
3 Febbraio 2018

Segnalo l’articolo di Marcello Sorgi “Il fascino immortale della Dc”: per imparare c’è sempre tempo.

Buona lettura.

Il fascino immortale della DC

La Stampa, 3 febbraio ’18

di Marcello Sorgi

Abituati da tempo immemorabile alle campagne elettorali a base di accuse e insulti irripetibili, salutiamo con una certa sorpresa l’irrompere del termine «democristiano», usato ovviamente in senso spregiativo dai molti che non sanno o non ricordano più cosa fu e cosa rappresentò, nel bene e nel male, la lunga epoca italiana della Dc, coincidente con i 46 anni della Prima Repubblica, ma sopravvissuta anche dopo, non foss’altro come mentalità e come scuola di politica che ha lasciato ancora in giro e in servizio parecchi professionisti. Se solo si riflette sull’eco avuta dai novant’anni di Ciriaco De Mita, compiuti ieri con accompagnamento di interviste e ricordi in cui ha potuto tranquillamente rievocare i suoi anni di segretario e presidente del consiglio democristiano come una sorta di età dell’oro, si capisce che in fondo anche quelli che adoperano in negativo, magari senza averlo vissuto o conosciuto, la parola Dc, sotto sotto ne discutono con rispetto e perfino con un certo rimpianto, anche se magari non sanno di cosa parlano.
Solo Bersani, che accusa Renzi di aver cancellato la sinistra dal Pd e di lavorare per ricostruire la Democrazia cristiana, ammette che quella vera, e non la parodia di questi giorni, era una cosa seria.
Per il resto, Salvini accusa Di Maio di essere diventato democristiano, e poi insieme a Meloni rivolge la stessa accusa a Berlusconi, che in anni non troppo lontani, quando era un imprenditore, diceva di se stesso di essere «socialista a Milano», in quanto amico di Craxi, e «democristiano a Roma», dov’era facile e frequente vederlo salire e scendere per le scale di Piazza del Gesù, il palazzo-simbolo del potere scudocrociato, ormai dismesso. Poi c’è Tabacci, finalmente un vero democristiano, che con una mossa da maestro, offrendo il simbolo del suo mini-partito Centro democratico, uno degli eredi sopravvissuti in Parlamento, della vecchia «Balena bianca», ha consentito alla Bonino e ai radicali, cioè agli autori della prima vera grande sconfitta della Dc nel referendum del divorzio del 1974, di presentarsi alle elezioni in alleanza con il Pd. E la Boschi che, non fosse solo per ragioni geografiche (è nata in provincia di Arezzo,) ha mostrato varie volte in pubblico nostalgia di Fanfani.
Ovviamente in tutto questo gran parlare che si fa della Democrazia cristiana, anche a vanvera, non c’è alcun tentativo di approfondimento. I convegni che in tutti questi anni si sono svolti tra le facoltĂ  di Scienze politiche e l’Istituto Sturzo sono spesso andati deserti, o hanno visto la partecipazione di un pubblico anziano e in qualche modo malinconico. Sarebbe interessante chiedere a Salvini, a Di Maio e Di Battista (Grillo no, scoperto da Pippo Baudo, la conosce e trovò solidarietĂ  nella Dc quando i socialisti, trent’anni fa, lo cacciarono dalla Rai) cosa sanno, cos’hanno capito di quell’era ormai così lontana, dopo quasi un quarto di secolo di Seconda Repubblica. E anche a Renzi, nato politicamente tra gli scout, che erano uno dei tanti mondi collaterali, come le Acli, la Confagricoltura, la Confcommercio e un po’ tutto quel che cominciava per «Conf», esclusa la Confindustria, del sistema copernicano della Dc. Quando il leader Pd, allora ancora a Palazzo Chigi, nel 2016 accettò la sfida di De Mita in un faccia a faccia sul referendum costituzionale moderato da Mentana, la sensazione era di un confronto privo di sincronizzazione, l’ex-segretario Dc, con i suoi famosi «ragionamendi», essendo ancora fortemente radicato nel Novecento, e Renzi invece apparendo come il prodotto piĂą recente e piĂą estremo di una politica tutta giocata sulla comunicazione e gli slogan a effetto. Tal che, in un primo momento, Matteo provò a mostrare rispetto per Ciriaco, aspettando il passaggio adatto a dargli il colpo fatale. Ma a sorpresa, quando il momento arrivò, e l’anziano fu accusato dal giovane di aver cambiato posizione dal centrosinistra al centrodestra pur di restare in ballo, De Mita non si scompose: «Sei un miserabile – replicò – io sono nato e morirò democristiano, mentre tu si vede che non credi in niente!».
Va da sé che De Mita, e nessuno dei vecchi leader dello scudocrociato, avrebbero sottoposto a referendum la riforma istituzionale. I referendum, come le commissioni di inchiesta (altro errore di cui Renzi, vedi le banche, non ha fatto in tempo a pentirsi), nella grammatica democristiana erano da evitare finché possibile, e al limite da concedere come sfogatoio alle opposizioni, in cambio della loro tradizionale collaborazione parlamentare. Nel quasi mezzo secolo (con qualche breve eccezione) di governi a guida Dc, la maggior preoccupazione dei presidenti del consiglio che si alternavano a Palazzo Chigi, da De Gasperi a Moro, Rumor, Colombo, Andreotti, Forlani e Cossiga, fino appunto a De Mita, con una turnazione assai frequente, erano i rapporti con Togliatti, Longo, Berlinguer, segretari del maggior partito comunista dell’Occidente, escluso per ragioni internazionali, il cosiddetto «fattore K», dalla partecipazione agli esecutivi. Relazioni sempre eccellenti, al di là di qualche cedimento alla propaganda, subito recuperato in nome del confronto considerato sempre necessario e della comune esperienza alla Costituente.
Può tornare, tutto questo? Difficile, se non impossibile, diciamo la verità. Ma una cosa su cui dovrebbero riflettere i leader del nostro tempo, intenti ad accusarsi a vicenda di essere democristiani, è che il sistema proporzionale, restaurato con il Rosatellum e tuttora vissuto come un’incognita, spinge tutti al centro: infatti è quel che sta accadendo a Berlusconi e Renzi, inseguiti da Di Maio che teme con ogni evidenza di ritrovarsi emarginato. Il proporzionale, in altre parole, è l’esatto contrario del maggioritario e del bipolarismo, la cornice in cui inutilmente gli stessi leader fingono ancora di muoversi, ben sapendo che non è più quel tempo. Così, se è difficile, o è quasi escluso che nella Terza Repubblica tornerà la Dc, per gli incoscienti che hanno fatto un passo indietro senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze, sarà indispensabile imparare, riscoprire, ridiventare anche loro un po’ democristiani.