Archive for category: Riflessioni

Ma gli italiani non sono così

15 Ott
15 Ottobre 2018

Una ondata di rammarico e anche di qualche emozione c’è stata in tutta la penisola al sapere che a Lodi circa duecento bambini (figli di immigrati) non potevano più mangiare con i loro compagni alla mensa e se ne dovevano tornare a casa. Il motivo: il solerte sindaco della città non riteneva sufficiente il 730 regolarmente presentato ma voleva anche documenti catastali del paese di origine chiaramente non ottenibili in tempi certi. Il risultato era il costo quintuplicato per famiglie che non se lo potevano permettere.
È scattata immediata una gara di solidarietà e in qualche ora è stata raggiunta la cifra necessaria al pagamento della differenza per far tornare i bambini sui “bussini” e alla mensa con i loro compagni di giochi.
In molti ambienti di differente ceto politico e sociale ho sentito questo commento “…ma noi italiani non siamo così”.
Il buon senso del Ministro dell’Interno Salvini ha per fortuna raddrizzato le cose. Vuol dire – ha annunciato – che ci fideremo delle denuncie dei redditi.
Anche i presidi e il Ministro della Pubblica Istruzione erano sulla linea del buonsenso e così speriamo che per il futuro lo voglia essere anche il sindaco di Lodi.

Storia anonima delle eccellenze d’Italia. La Sanità in Toscana

14 Giu
14 Giugno 2018

Vi voglio raccontare la storia di un conoscente anonimo che per comodità perché gli anonimi non mi sono mai piaciuti chiameremo Angiolo Paganini.

A questo signore scoprono ai primi del 2016 tre distinti tumori, uno al colon uno al fegato ed uno al rene. Decide di andare ad operarsi al Policlinico di Siena e l’operazione anzi per dire le tre operazioni in una, vengono eseguite da due equipe quella di chirurgia generale del Prof. Remo Vernillo e quella di urologia del Prof. Gabriele Barbanti.

Tutto si svolge con grande professionalità. Alcune complicazioni del paziente lo obbligano poi a sei sette giorni di terapia intensiva. Un centro straordinario, almeno a Siena, tra l’ade e la fantascienza. Il poveretto nelle sue allucinazioni pensa da un momento all’altro di vedere arrivare Caronte che lo traghetti nell’aldilà. Ma si vede che non è la sua ora.

Uscito da questa esperienza il nostro Paganini vorrebbe raccontare a qualcuno l’Italia che funziona ma per ritrosia se ne sta zitto. Arriva il 2018 ed il reparto di urologia diretto da Barbanti gli trova un quarto tumore questa volta alla prostata. Operazione urgente con la robotica e conseguente degenza nel padiglione della chirurgia assistita. E qui il nostro Paganini si stupisce ancora di più. Ambienti luminosi, pulizie impeccabili, cortesia e scrupolo assoluti. E tutto questo diciamo servirebbe fino ad un certo punto se non fosse integrato dalla presenza continua del capo del reparto Dott. Pizzirusso (un metronomo dell’assistenza), del Prof. Barbanti e di tutto lo staff.

Quello che colpisce è il realizzarsi da un lato della “democrazia della salute” (protocolli standard e attenzione sostanziale identica per tutti), dall’altra un team quello della robotica di urologia all’avanguardia. Dal Dott. Gentile, un fuoriclasse, a tutti gli altri, questo reparto produce il 60% degli interventi di robotica dell’intero Policlinico Le Scotte.

Questa volta il povero Paganini non si è trattenuto e ha voluto far sapere al mondo intero, affascinato dai talk show di protesta, dagli slogan che tutto va male, da un senso strisciante e continuo di voler tutto criticare, che invece in Italia ci sono un’infinità di settori dove la gente lavora, lavora bene e salva vite umane. In tutto questo evidentemente speriamo che la politica regionale abbia fatto al meglio il suo mestiere. Ad Angiolo Paganini piacerebbe capire infatti se certe divisioni e strutture del comparto sanitario oggi con onestà intellettuale non andrebbero magari ripensate e meglio integrate.

In Toscana c’è un proverbio: non c’e due senza tre ed il quarto vien da sé. Come capirete, Paganini spera di aver già dato.

L’autogol della sinistra sull’abbraccio Boschi-Pisapia

27 Lug
27 Luglio 2017

Matteo Renzi ha ragione a tenere in gran conto Maria Elena Boschi: con i suoi sorrisi ha mandato in tilt l’intera compagine di sinistra. Alla Festa dell’Unità di Milano, Giuliano Pisapia e la Boschi si sono affettuosamente salutati. Cordiale lei, gran signore lui. Solo qualche foto e il tutto sarebbe passato nella calura estiva ma le sentinelle dell’ortodossia leninista vigilavano e per cinque giorni il povero Pisapia è stato preso a sassate (metaforiche e non). Tutti i fuorusciti dal Pd si sono scatenati in questo colossale autogol compreso il di solito mite Bersani. Solo D’Alema si è ricordato che il silenzio è d’oro. Anche uomini intelligenti come il presidente della Regione Toscana Rossi sono caduti nella trappola. Si è discettato persino sull’intensità dell’abbraccio. Roba perfetta per il settimanale di gossip Chi ma non per una forza politica che vorrebbe scardinare Renzi.

Ma cosa si pretendeva da Pisapia, un signore che ha fatto il sindaco di Milano con l’appoggio determinante del Pd e che ha in piena coscienza votato sì al referendum? Volevano il volto buono della sinistra? Pisapia appunto, ma non ci si può poi lamentare se non è un inflessibile Saint Just.

Tre cose emergono da questo episodio quasi rosa. Primo: Renzi non sopporta Bersani & company (e si sapeva) ma gli altri detestano Renzi in un modo totale e apparentemente anche irragionevole. Secondo: Pisapia è un signore che ha rinunciato a rifare il sindaco di Milano e si è già stancato al solo pensiero di riunioni tipo comitato centrale. Terzo: la Boschi oltre che bella (due terzi dei giovani italiani si vorrebbero fare un selfie con lei per inondare poi la rete) ha dimostrato di essere anche brava e di conoscere la regola aurea dei fondisti della politica: sopportare ed andare avanti. Uno degli assiomi della sinistra culturale è sempre stato: meglio perdere che perdersi. In realtà una delle due cose trascina sempre anche l’altra. Dispiace che persone per bene come Bersani non colgano l’evidenza della situazione attuale.

La sacralità del lavoro

30 Apr
30 Aprile 2017

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Si è fatto in questi giorni un gran discutere per l’apertura dell’outlet di Serravalle il giorno di Pasqua. Al di là della specificità religiosa che non è in discussione ci sembra che il tema sia stato affrontato in modo completamente errato.

Punto primo siamo in presenza della più grave crisi economica degli ultimi 100 anni; punto secondo la sacralità del lavoro e la dignità del lavoro sono a fondamenta della nostra Costituzione; punto terzo in questi maxi ponti si è registrato il tutto esaurito e il mondo che attiene il turismo, i negozi, i pubblici esercizi comprese la attività trasportistiche, ha funzionato a pieno ritmo.

Purtroppo per noi chiudono centinaia di aziende al mese. Pur con grandi sacrifici delle persone, vogliamo però cercare di tenere aperto ciò che funziona? In quei giorni alberghi, ristoranti, negozi, supermercati tutto era affollato. Il modello sociale sbagliato è quello che non crea lavoro. Siamo onesti, discettare di consumi può andare bene nelle società opulente.

Grande Ettore

14 Ago
14 Agosto 2016

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Mi piace ricordare Ettore Bernabei con gli stessi sentimenti e parole con i quali nel 2011 scrissi questo articolo pubblicato sul Tempo in occasione dei suoi 90 anni. Riposa in pace amico mio!

Bernabei va narrato ai giovani come esempio di gran lavoratore. Genio, capacità, ma anche quantità.

Festeggiare i novant’anni di Ettore Bernabei può essere occasione per tracciare un apologo a buon uso delle nuove generazioni, un esempio in cui successo e merito sono facce della stessa medaglia. Bernabei è stato ed è protagonista del suo tempo. Un giornalista autorevole che ha diretto due quotidiani che poi ha guidato – ancora indimenticato – la Rai per ben quattordici anni e dopo una pur significata parentesi di manager industriale ha dato vita ad uno dei progetti imprenditoriali e culturali più rilevanti che mai sono stati varati in Italia: la società di produzione televisiva e cinematografica Lux Vide.

Nonostante la sua contemporaneità, in Bernabei si addensano molte caratteristiche che la società moderna fatica a recepire. Innanzitutto un rapporto di fedeltà costante con chi a suo tempo ha investito su di lui, cioè Amintore Fanfani. Il legame con lo statista democristiano è rimasto per Bernabei indelebile negli anni, con grande conoscenza e rispetto per il ruolo avuto nei decenni passati. E se per quarant’anni molte scelte politiche di questo Paese sono ruotate intorno alle intuizioni e anticipazioni dello statista Dc, addolora che oggi anche molti addetti ai lavori della politica ne trascurino il contributo. La memoria di Fanfani che Bernabei ci consegna già lo rende anomalo, una eccezione che speriamo possa contagliare anche la regola.

Bernabei va quindi narrato ai giovani come esempio di gran lavoratore. Genio, capacità, ma anche quantità. Un formidabile diesel da dodici ore di lavoro al giorno. Cifre che in certi ambienti, come la Rai dove ha operato per tanti anni, sono addirittura un prerequisito per far bene. Ed è far bene la missione che ha mosso sempre Bernabei: non solo fare. E´ la sua profonda fede, privata e civile, la credenza nei valori cristiani e repubblicani, che si sostanziano nell’adesione a una visione etica e morale della famiglia, ad essere il faro di un impegno indefesso e nobilitante che nulla ha che vedere con quei comportamenti che, spesso superficialmente, vengono considerati come bacchettoni. Ma benedette sono le visioni della vita dense di principi e saldezza, piuttosto che un generico immedesimarsi senza domande nella materia indisciplinata della vita quotidiana.
Una profondità di valori che dalla sfera privata subito si trasmette a quella pubblica: Bernabei, insieme a Enrico Mattei, è stato il primo esempio di manager moderno dell’Italia repubblicana. Un uomo che ha saputo investire sempre coniugando le migliori risorse a disposizione con le giovani età, ricercando e formando, e determinando quel giacimento di competenze cui la Rai ha dopo attinto per decenni. Una curiosità e un’attenzione per i giovani concretizzata anche da un amore giovanile per le sfide. Creare la Lux Vide in età avanzata rappresenta un caso unico in un Paese in cui le persone adulte troppo spesso preferiscono vivere di rendite senza mettersi in discussione. Innovatore e tradizionale anche nell’avventura di produttore televisivo, confezionando opere ben fatte, con una precisa valenza morale e destinate a sbancare l’audience televisiva e destinate a penetrare nel tessuto delle famiglie. Insomma, i novant’anni di Bernabei sono il migliore paradigma di una esperienza intrisa di valori profondi e insieme proficua di risultati grandemente positivi.

(Il Tempo, 15 maggio 2011)

Diane Keaton regina del glamour, nemica del botox, amante della pizza

19 Mar
19 Marzo 2016

Diana Keaton e Wody Allen

Nelle sere d’inverno a Roma quando si gioca la Champions League vado a mangiare alle 21 alla pizzeria San Marco in Via Sardegna 40. Un posto caldo e accogliente, ben illuminato, avrebbe scritto Ernest Hemingway nei suoi indimenticabili “I 49 racconti”.

Per di più si mangia bene e ti puoi godere le partite di calcio. Per quasi due mesi la sera veniva a mangiare una distinta ed in parte eccentrica donna inglese, anzi americana, che non ho tardato a riconoscere nella persona di Diane Keaton che era a Roma per motivi professionali. Il glamour, la freschezza giovanile e la semplicità nel vederla al tavolo accanto erano veramente notevoli. Mi sono ricordato di questo episodio quando l’8 di marzo, Diane Keaton insieme ad altre dodici grandi attrici, ha confermato la sua avversione al botulino, affermando inoltre con orgoglio di non volere accettare insieme alle colleghe copioni che impongano un eventuale restyling.

Tra le colleghe troviamo Emma Thompson e Kate Winslet che in Inghilterra hanno costituito una lega contro i trattamenti chirurgici e contro il botox, Julienne Moor Julia Roberts, che, sebbene sia stata incoronata per undici volte dai giornali popolari nella lista delle 50 donne più belle del mondo ha detto: “Io ho tre figli e voglio che vedano le emozioni e i sentimenti che provo nel momento esatto in cui li provo”.
Diane Keaton lo scorso 5 Gennaio ha compiuto 70 anni e, a più riprese, nel corso degli anni, ha dichiarato di non essere mai ricorsa al botulino per i famosi “ritocchini” delle star.

No, grazie, sono bella anche senza chirurgia plastica. È questo il messaggio straordinariamente originale di questa attrice, produttrice, regista, fotografa e arredatrice d’interni, quattro volte candidata all’Oscar (ha vinto una statuetta nel 1978 per “Io e Annie” di Woody Allen). Diane Keaton è una icona di Hollywood per lo stile inconfondibile, elegante e anticonformista, il glamour e l’ironia.

Anne Hall di “Io e Annie”, Annie Mcdaggan Paradis di “Il Club delle prime mogli”, Bessie Wakefield a fianco di Meryl Streep ne “La stanza di Marvin” , Erica Barry di “Tutto può succedere”, dove si confronta ironicamente conJack Nicholson, versione playboy e mostra al pubblico tutta la sua bellezza in un nudo integrale all’età di 57 anni, e mille altri personaggi di una vastissima filmografia: ognuno di noi conserva indelebile un ricordo di lei.

Nel 1968 viene subito notata dal giovane regista Woody Allen ed ingaggiata per lo spettacolo teatrale “Provaci ancora Sam” che in seguito porteranno insieme sullo schermo. Inizia così fra Diane Keaton e Woody Allen una lunga e produttiva relazione d’amore: girano insieme ben otto film, tra i quali capolavori come “Provaci ancora Sam”(1972), “Il dormiglione” (1973), “Io & Annie”, (1977) e “Manhattan” (1979).

Oggi passa gran parte del tempo con la macchina fotografica in mano, colleziona opere d’arte contemporanea e si dedica a commedie leggere.

Accanto a lei vogliamo ricordare nella lotta all’anoressia la modella plus size Ashley Graham, imperterrita body activist, che è finita sulla copertina della bibbia delle top in bikini (in buona compagnia, prima di lei Elle McphersonBar Refaeli) esibendo costantemente una taglia 46. Nel 2010 e nel 2015 alcuni reti televisive hanno rifiutato i suoi spot con l’accusa di essere troppo prosperosa: forse era semplicemente troppo bella.

“Maestre d’Italia”: Sante subito

23 Feb
23 Febbraio 2016

Maestre d'Italia

C’è una categoria nel nostro Paese che a mio parere svetta in cima alle professioni più meritevoli, senza nulla togliere a nessun altro lavoro.
Fino agli anni Settanta i ragazzi erano educati dalla famiglia, dalle parrocchie, dalle sezioni di partito (dei grandi partiti) e dalle maestre. L’autorità di quest’ultime era intangibile ed indiscussa. Oggi sono scomparse le sezioni dei partiti, si sono rarefatte le presenze delle parrocchie e soprattutto è fortemente scomparsa la famiglia, come bussola fondamentale della vita sociale.
Alla famiglia si è sostituita una serie di individualità esasperate e di capricci tirannici di bambini che non hanno più gerarchie sicure di riferimento. Non a caso gli sceneggiatori televisivi, consapevoli della realtà che ci circonda, tendono a trasformare il concetto di famiglia in un grande barnum televisivo dove … “tutto può succedere”.
In questo contesto resta in piedi eroicamente solo la figura della maestra la cui autorità si pretende anche di discutere. Le “Maestre d’Italia” sono fatte con lo stampino: non prendono mai malattia, si preparano in modo maniacale anche nel week end alle lezioni del Lunedì, danno ai nostri figli nozioni, insegnamenti, metodi di lavoro e valori da seguire.
La loro principale attività è didattica in un perenne “repetita iuvant”. Insegnano durante le ore di lezione, durante l’intervallo, cercano di insegnare ai genitori dei ragazzi e, ovviamente, continuano questa loro attività anche in seno alle proprie famiglie. Un h24 dove non si salva nessuno, lo dico con benevolenza, figli, padri, mariti e/o fidanzati. A questo si aggiunga classi numerose, multietniche all’ 80% e con uno sfavillio di fidanzati nuovi per le mamme e di nuove compagne per i mariti sconsolati.
In questa loro lodevole attività, il colmo è che i genitori non sempre sono a loro sostegno ma spesso hanno da criticare e per di più usando gli infernali strumenti della modernità (da facebook a whatsapp). Mamme preoccupate che i bambini abbiano troppi o pochi compiti, che le maestre facciano troppi dettati, o magari troppe tabelline. Insomma le poverette sono sottoposte anche a questo ulteriore giudizio massmediologico.
C’è una giustizia però. Ed infatti, al termine delle elementari, gran parte dei ragazzi e delle famiglie riconosce alle maestre il loro importante ruolo in una “società liquida” dove aggrapparsi ai valori è sempre più difficile.