Napoleone, mito e leggenda

04 Giu
4 Giugno 2021

Di Alberto Brandani, su La Freccia

La notizia della morte di Napoleone Bonaparte fu pubblicata sulla Gazzetta di Milano il 16 luglio 1821. Alessandro Manzoni l’apprese l’indomani e, in tre soli giorni, compose l’inno che, ancora manoscritto, si diffuse rapidamente per divenire presto celeberrimo. Manzoni nutriva sentimenti antinapoleonici, ma di fronte all’evento subì il fascino del genio. «Che volete?», diceva allo storico Cesare Cantù, «era un uomo che bisognava ammirare senza poterlo amare; il miglior tattico, il più infaticabile conquistatore, con la maggiore qualità dell’uomo politico, il sapere aspettare ed il saper operare. La sua morte mi scosse come se al mondo venisse a mancare qualche elemento essenziale; fui preso da smania di parlarne, e dovetti buttar giù quest’ode, l’unica che si può dire improvvisassi in men di tre giorni». (C. Cantù, Alessandro Manzoni. Reminiscenze, Milano, Treves, I, pag. 113). «Ei fu», due parole di straordinaria efficacia. «Ei» perché è lui l’uomo di cui tutto il mondo parla e «fu», non perché è morto, ma perché è entrato nell’Olimpo degli immortali.

«Dall’Alpi alle Piramidi,

dal Manzanarre al Reno,

di quel securo il fulmine

tenea dietro al baleno;

scoppiò da Scilla al Tanai,

dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria?

Ai posteri l’ardua sentenza».

Francesco De Sanctis scrisse che rappresentare le grandi vittorie in altro modo sarebbe stato impossibile. Manzoni ci fa capire non solo che Napoleone provò tutto, ma anche che due interi secoli guardarono a lui come l’homo faber che poteva guidarli e comandarli.

«Tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio:

due volte nella polvere,

due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,

l’un contro l’altro armato,

sommessi a lui si volsero,

come aspettando il fato;

ei fe’ silenzio, ed arbitro

s’assise in mezzo a lor».

«E sparve». Siamo qui a una meravigliosa riflessione sull’effetto lirico e sulla malinconia che subentra nei grandi condottieri quando la parabola si fa discendente e vengono fuori le cose peggiori degli uomini («l’immensa invidia» e «l’inestinguibil odio») e «il cumulo delle memorie» scese a frenare la «stanca man».

«E ripensò le mobili

tende, e i percossi valli,

e il lampo de’ manipoli,

e l’onda dei cavalli,

e il concitato imperio,

e il celere ubbidir».

Certo, l’emozione religiosa di Manzoni ci dice che la Provvidenza e il Dio che affanna e consola, alla fine, gli sono stati vicini.

A distanza di 200 anni Il cinque maggio, scritta da Manzoni e tradotta in tedesco da Johann Wolfgang von Goethe, ci aiuta a ricordare come le più grandi menti del tempo, ancorché distanti fra loro, abbiano provato un’emozione profonda.

Napoleone è il monumento vivente alle qualità dell’uomo che lui tutte racchiude. Condottiero ineguagliabile, stratega supremo, uomo coltissimo, porta sempre al seguito nei campi di battaglia una biblioteca di 600 volumi divisa in comparti. Saccheggia di capolavori l’Italia pittorica per fare del Louvre il più grande museo del mondo. Ma, mentore universale, valorizza anche l’Accademia di Brera. Con lui la parola e la comunicazione diventano di una modernità sconvolgente. A tutte le classi sociali, dalle più povere a quelle della borghesia, manda un messaggio inequivocabile: se sono diventato imperatore io, di umili origini, lo potete diventare anche voi, anzi voi lo siete già con me, in una sorta di millenaria reincarnazione. Si comprenderà come i balletti e i belletti delle corti europee, con le loro enormi spese, il dispregio del merito e l’arroganza di smisurate ricchezze parassitarie, non potevano competere con il generale dagli occhi d’aquila che veniva dalla Corsica. L’Europa popolare e quella colta riconoscevano entrambe in Napoleone il valore della competenza nella sua più assoluta esplicitazione.

E se è vero che dovremo prima o poi recuperare lo studio autentico della storia nelle nostre scuole, di Napoleone c’è davvero bisogno. Per i contemporanei di allora, per gli uomini di oggi, per gli studiosi e i giovani di domani, l’aquila napoleonica vola sempre alta nei cieli, lontana, irraggiungibile. Ma le sue opere, le sue intuizioni faranno sempre parte del patrimonio dell’umanità. E anche Manzoni, con Il cinque maggio, volle sentirsi indiscutibilmente coinvolto in questo sentimento universale.

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