“Il fattore N – Napoleone duecento anni dopo”

26 Feb
26 Febbraio 2021

Cari lettori, 

la rivista mensile Formiche ha dedicato il numero di febbraio a “Il fattore N – Napoleone duecento anni dopo”.
Considerata l’importanza storica che tale evento ha significato per l’Isola d’Elba, il Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba – R. Brignetti ha partecipato all’iniziativa con due articoli: 
uno di Ernesto Ferrero “Un Imperatore dell’èra moderna” ed uno del Prof. Alberto Brandani “L’Isola d’Elba e il suo ospite più illustre (e ingombrante)”.
Riportiamo entrambi gli articoli a seguire.

Buona lettura.

Redazione Web del Prof. Alberto Brandani
In un giorno di pioggia, una fregata inglese sbarca sull’isola d’Elba Napoleone Bonaparte. Egli, in meno di 24 ore, ha già visitato le fortificazioni e le miniere di Rio, organizzato l’amministrazione, emanato decreti esecutivi su tutto, igiene pubblica, tasse, acquedotti, ponti, strade. Incontrando la fiera resistenza dei contadini, che non vogliono cedere un solo palmo di terra al progresso. Gli elbani alla fine vengono travolti dall’imperiosità dell’uomo e dall’ampiezza delle sue vedute. Napoleone diventa improvvisamente visibile, si può quasi toccare quel piccolo uomo tarchiato, mentre lavora con i muratori, scambia consigli con i contadini, mangia il cacciucco con i pescatori
 
Una fortezza cinta dai bastioni arcigni delle mura medicee, irta di cannoni, imprendibile. Nell’aprile 1814 l’imperatore sconfitto la patteggiò con gli alleati: nel Mediterraneo, Portoferraio era il posto migliore per difendersi, qualora i suoi nemici avessero deciso (e così fu davvero) di deportarlo in un altrove definitivo, durante il Congresso di Vienna, in ottobre, si parlava già delle Azzorre, dell’America, di Sant’Elena. Quest’isola ripiegata su se stessa, con i Paesi arroccati sulle colline che si scrutavano in cagnesco l’un l’altro, avrebbe ospitato per dieci mesi il personaggio più complesso, enigmatico e ingombrante dell’epoca moderna. Curioso paradosso, di cui la storia si compiace, il più piccolo dei luoghi napoleonici resta quello a più densa concentrazione di emozioni.
Mercoledì 4 maggio 1814. In un giorno di pioggia, una fregata inglese sbarca Napoleone. Gli elbani improvvisano una cerimonia d’accoglienza per l’illustre sconfitto, che nell’attesa scorge nell’ampia baia di Portoferraio, a Magazzini, una bella villa rinascimentale, affacciata sul mare tra i vigneti: la casa di Pellegro Senno, uno dei notabili dell’isola, genovese d’origine. Nei gigabyte della sua prodigiosa memoria, Napoleone lo ricorda a Parigi nel 1803 con una delegazione di deputati elbani. E lo stima: “Ci vogliono quattro ebrei per fare un genovese”.
Alle quattro di pomeriggio tutto è pronto per lo sbarco, il baldacchino foderato di stagnola e la bandiera con le tre api dorate, antico simbolo di regalità che lui stesso ha scelto. Il sindaco Traditi consegna all’ospite le chiavi della città appena forgiate, tenta un discorso, s’impappina. Il solenne Te deum nel duomo odora di muffe invernali.
In meno di 24 ore il vulcanico sovrano ha già visitato le fortificazioni e le miniere di Rio, organizzato l’amministrazione, emanato decreti esecutivi su tutto, igiene pubblica, tasse, acquedotti, ponti, strade. Incontrando la fiera resistenza dei contadini, che non vogliono cedere un solo palmo di terra al progresso. Trascorre le prime notti in Municipio, detto la Biscotteria, ma individua subito la zona dei mulini per costruire una dimora degna di lui: una sella tra i due forti dominante la rada e il Tirreno. Per costruire la sua villa, unifica e sopraeleva. Ai lavori sovrintende personalmente, piccandosi di essere sommo architetto, artigiano e persino operaio. Tiene per sé il piano terra, con il salone d’onore, la biblioteca, la camera da letto, tre studioli; il primo piano è per Maria Luisa, tanto attesa, che all’Elba non arrivò mai. Dalla fine di ottobre quelle stanze luminose ospitano Paolina, l’unica dei fratelli a restargli accanto. Ma quando tutto è pronto, Napoleone pensa già a quando e come andarsene.
Gli elbani, inizialmente ostili, vengono travolti dall’imperiosità dell’uomo e dall’ampiezza delle sue vedute. Napoleone diventa improvvisamente visibile, si può quasi toccare quel piccolo uomo tarchiato, mentre lavora con i muratori, scambia consigli con i contadini, mangia il cacciucco con i pescatori. Il mito ridiventa uomo, un borghese un po’ appesantito che ha l’aria di un commerciante appena sbarcato da Piombino per i suoi traffici. Poco sopra Marciana, sulle pendici del monte Giove, Napoleone elegge il più antico e venerato santuario dell’isola, la Madonna del Monte, a provvisoria sede estiva. Il luogo è di un incanto metafisico, tra ciuffi di ginestre e di cisto e grandi massi incisi dalle acque. Di lassù si domina tutta l’isola e la costa toscana e, soprattutto, nei giorni di vento, si può vedere la Corsica. Il vinto contempla spesso la sua isola, trasportato dai profumi evocativi della macchia mediterranea. Nascosta com’è, la Madonna del Monte è il luogo ideale per custodire il segreto della diletta amante polacca, Maria Walewska, che gli ha dato un figlio.
È il venerdì 2 settembre, Napoleone spera ancora nell’arrivo di Maria Luisa. Seppure avvolto dalla notte, lo sbarco della Walewska non sfugge alla curiosità degli elbani, che la scambiano per l’imperatrice. Ma lui non vuol dare scandalo e la fa partire malgrado una spaventosa burrasca. Poi la situazione precipita. Gli alleati meditano di trasportarlo lontano, Napoleone li precede e li beffa, sempre recitando la parte del cincinnato che si è rassegnato a curare le sue vacche. Domenica 26 febbraio 1815 se ne va al tramonto con sette vascelli malandati e un migliaio di fedelissimi. Lo attendono i Cento giorni che portano a Waterloo. E a Sant’Elena.
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Quello di Napoleone è stato un impero moderno, che ha saputo parlare alla borghesia, ma soprattutto coltivare le proprie capacità di modernizzatore di Stato e impresa. Anche grazie alla sua passione per le lettere e i libri, il Napoleone che ha ancora molto da insegnare non è il generale, ma l’altro, assai meno noto: il vero erede di Machiavelli, l’organizzatore, il manager, l’inventore dei moderni sistemi di gestione della complessità, il ministro dei Beni culturali che potenzia il Louvre e Brera, il virtuoso del budget che avvia la modernizzazione dello Stato e dell’impresa, il legislatore che promulga il Codice civile, il protettore delle scienze che favorisce la riscoperta dell’antica civiltà egizia e quando è in Spagna trova il tempo per pensare a ristrutturare gli ospedali di Parma e Piacenza
 
Da dove nasce il culto di Napoleone che cresce rigoglioso per tutto l’Ottocento, attraversa il Novecento e arriva ancora fiorente fino a noi? Dal più elementare e potente dei messaggi: anche voi potete diventare come me, se avrete capacità di analisi e di comando, ampiezza di visione, strategie innovative, coraggio, ambizione, perseveranza. Io ho introdotto nella storia la speciale categoria del merito, sostituendola a quella del diritto ereditario. Da rampollo di una famiglia di modeste condizioni, in dieci anni mi sono saputo elevare con le mie sole forze alla dignità imperiale. Con me i figli dei mercanti, dei bottai, dei fornai, dei muratori, dei mugnai e degli scudieri sono diventati marescialli. Tocca a voi perfezionare il lavoro che io ho avviato.
Era quello che la borghesia emergente voleva sentire. Il Napoleone che ha ancora molto da insegnare non è il generale, ma l’altro, assai meno noto: il vero erede di Machiavelli, l’organizzatore, il manager, l’inventore dei moderni sistemi di gestione della complessità, il ministro dei Beni culturali che potenzia il Louvre e Brera, il virtuoso del budget che avvia la modernizzazione dello Stato e dell’impresa, il legislatore che promulga il Codice civile, il protettore delle scienze che favorisce la riscoperta dell’antica civiltà egizia, l’amministratore che si occupa di tutto, dal cartellone dei teatri, al sistema fognario di Parigi, e che quando è in Spagna trova il tempo per pensare a ristrutturare gli ospedali di Parma e Piacenza. Senza contare il bibliofilo, il lettore onnivoro, il fondatore di biblioteche, perfino l’editore che vagheggia collane di classici annotati e il redattore che vuol togliere dalle opere di storia gli aggettivi superflui.
Napoleone sa tutto, vuole tutto, è dappertutto. Per vent’anni persegue un progetto di ammodernamento radicale delle strutture statali e delle strategie belliche (ma stranamente non delle tecnologie) basato sull’accentramento totale di ogni decisione grande e piccola, che non ammette deroghe. I vantaggi della rapidità decisionale del cesarismo saranno pagati con il gigantismo di un sistema che alla fine diventa ingovernabile e implode.
Finché riesce a padroneggiarlo da solo, Napoleone vince perché sa motivare come nessuno i collaboratori, inventa le moderne tecniche della comunicazione (cominciando dal logo, la famosa “N”) e addirittura cura il merchandising di se stesso, facendo produrre su larga scala busti, stampe, piatti, tabacchiere e decine di altri articoli di largo consumo.
Alla fine trasforma una sconfitta nella più definitiva delle vittorie: con un libro. Il Memoriale di Sant’Elena, primo best-seller moderno, divulga la leggenda romantica del Prometeo liberale sconfitto dall’egoismo delle vecchie oligarchie.
Napoleone ha degli uomini una conoscenza totale e disincantata: per questo sa manovrarli così bene. La rapidità di calcolo, pari a quella di un potente computer d’oggi, gli consente delle proiezioni strabilianti. Arriva a delineare gli Stati Uniti d’Europa con le stesse leggi e la stessa moneta. Predice agli inglesi che perderanno l’India perché non hanno una classe dirigente all’altezza. E morendo dice: “Vi lascio due giganti nella culla: la Russia e gli Stati Uniti”. Molti anni fa avevo pubblicato con Mondadori un volume di Lezioni napoleoniche a uso di chi ha responsabilità di gestione, basato sui detti fulminei che lui ha rilasciato in gran copia. I politici se lo sono molto regalato, anche un po’ maliziosamente, perché l’ultimo capitolo si intitola “L’arte di gestire le sconfitte”. Se anche l’hanno letto, i disastri che hanno continuato a fare sin qui dimostrano che non hanno imparato niente. Adesso ci riprovo con un Napoleone in venti parole in uscita da Einaudi in aprile, in cui cerco di spiegare perché ha ancora molto da insegnare attraverso venti temi-chiave, dal “sistema operativo” alla comunicazione, dall’economia alla politica culturale. Chi vuole intendere, intenda.
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