Author Archive for: Alberto Brandani

Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Nella terra dei lupi” di Joe Wilkins

11 Nov
11 Novembre 2020

Pubblicato su “La Freccia”, novembre 2020

Joe Wilkins, Nella terra dei lupi, Neri Pozza, pp. 304, €18
Joe Wilkins, Nella terra dei lupi, Neri Pozza, pp. 304, €18

Ecco un Montana odierno, secondo Joe Wilkins: una “terra di lupi” in cui, però, le bestie non sono certo loro.

Una terra dura e selvaggia, dalla valle di Yellowstone alla catena delle Bull Mountains, in cui gli abitanti fanno fatica a sopravvivere. Per il clima, l’analfabetismo, la disoccupazione e la miseria, a cui spesso fa eco una brutalità inaudita. Wendell, il protagonista, è un ventiquattrenne che vive da solo, perché suo padre è fuggito sulle montagne per sottrarsi all’arresto per l’omicidio di una guardia forestale.

«Stasera a est il cielo è blu come gli occhi di tua madre», diceva. «Da un lato c’è questo blu che va verso la notte. Dall’altro le montagne lontane, rosse e oro nel sole che scende. Lo sapevi che tra il rosso e l’oro c’è una scatola di colori?».

Wendell è un giovane straordinariamente equilibrato, anche se vive in questo contesto di miseria, violenza e ossessione per le tradizioni. Gli viene affidato il figlio di sua cugina, un bambino di sette anni con un grave deficit cognitivo. Tra i due nasce un legame profondo, che commuove nell’intimo.

Gillian, l’antagonista, è vicepreside della scuola che si occupa degli allievi in difficoltà. Inevitabilmente, inizia a gravitare intorno a Wendell, malgrado il tragico legame che congiunge e oppone le rispettive famiglie.

Wilkins modella i suoi personaggi con brevi tratti di pennello, come un impressionista, e li inserisce in uno straordinario paesaggio che descrive con maestria: «Lungo un sentiero che costeggiava un groviglio di prugnoli, un varco tra i pioppi e i salici incorniciava un’ansa del fiume, con le sue rapide poco profonde, su un letto di ghiaia. Oltre il fiume, la foresta s’infittiva e si innalzavano le Bull, bitorzolute, scoscese e frastagliate e la punta più vicina era ammantata dal verde azzurrognolo dei cedri».

Un territorio selvaggio e ostile che, al pari di quasi tutta la provincia rurale americana, considera un diritto sacrosanto del cittadino armarsi e uccidere la fauna selvatica, anche se proibito. Uno dei protagonisti ha addirittura ucciso un lupo: «A proposito di lupi. Se ne sente sempre parlare al notiziario, ma chi ne aveva mai visto uno? Io no, almeno fino ad allora. Ti assicuro che il lupo è un vero spettacolo […] ma quel lupo era sulla mia terra. Quella lupa era venuta a divorarmi un pezzo di cuore». Uccidere quell’animale diventa qui affermazione di libertà individuale.

Il romanzo ha un’intensità struggente che si dipana tra i protagonisti, costretti ad affrontare troppi disagi, a cercare di risollevarsi da soli e a espiare le colpe dei padri. Qualunque sia il destino di questi personaggi, ognuno di loro, a partire dal padre di Wendell, troverà conforto nella bellezza di quella terra e riuscirà a dare un’impronta lirica, quasi poetica, alle proprie azioni.

Una notazione finale. Gli Stati Uniti sono una nazione relativamente giovane. Non hanno avuto l’Impero romano e neppure il Rinascimento. Generazioni di scrittori hanno vissuto come un naturale anfiteatro l’epopea del West e della natura incontaminata, con le sue leggi tribali e l’eterna lotta per la sopravvivenza.

Il grande cinema americano ha sempre colto questo stato d’animo culturale, da Ombre rosse a Un gelido inverno fino a Revenant. E la letteratura non è stata da meno. Dai classici William Faulkner e John Dos Passos, all’ultima generazione dei Don Winslow e Joe Wilkins.

Per i lettori, insomma, un avviso in bottiglia.

Un assaggio di lettura

Lo Scaffale della Freccia

Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Il bambino nascosto” di Roberto Andò

11 Ott
11 Ottobre 2020

Pubblicato su “La Freccia”, settembre 2020

Sono due le voci di questo romanzo, due voci alte, risonanti e commoventi allo stesso tempo, ma ugualmente innocenti.

Una è quella di Gabriele Santoro, un maestro di pianoforte, colto e un po’ misogino, che vive da solo nel quartiere malfamato di Forcella a Napoli; l’altra è di Ciro, un ragazzino di dieci anni, figlio di Carmine, uno degli scagnozzi del boss camorrista di zona.

La malavita, senza troppa difficoltà, gestisce e influenza una parte importante della vita cittadina e chi nasce all’interno di un certo contesto non può far altro che crescere in fretta, bruciando spesso le tappe della vita. Per chi ha un genitore camorrista è normale utilizzare un’arma e conoscerne i componenti, è ordinaria amministrazione scippare le anziane signore ed è doveroso sapere che i debiti si pagano sempre.

Un giorno, mentre aspetta un pacco, Gabriele lascia la porta di casa socchiusa e si ritrova di fronte Ciro. Il ragazzino, durante uno scippo, ha provocato la morte della madre del boss e viene subito braccato dai killer per riparare allo sgarro.

Comincia così la strana convivenza tra l’intellettuale raffinato e il bambino delinquente e straccione, che si nasconde a casa sua per sfuggire alla morte. L’uno parla italiano, l’altro un dialetto smozzicato, rozzo. Sembra che fra il pianista solitario e un po’ depresso e il figlio di un camorrista che a dieci anni ne ha viste già di tutti i colori non ci sia possibilità di rapporto. Invece, nei 15 giorni della loro vita in comune, anche se Santoro sa di essere sospettato e in pericolo, scatta fra i due un affetto profondo, come se l’uno avesse bisogno dell’altro, se il piccolo potesse insegnare al grande i misteri della vita reale, difficile, violenta, sanguinosa, mentre il pianista può offrire libri e spartiti rari, lezioni di musica e poesie, accudimento e affetto.

Punti di incontro, insomma: l’umanità che riesce a farci riconoscere come persone e scaccia i pregiudizi; la consapevolezza di potersi fidare di qualcuno, che inonda l’animo di una purissima serenità; la musica, considerata sia come energia che smuove emozioni profonde sia come passione da vivere e da trasmettere.

S’instaura un rapporto di intensa emotività, di fiducia e rispetto, in cui il maestro prova il piacere di trovare a casa qualcuno che l’aspetta e Ciro recupera una parte della sua infanzia rubata, torna un po’ il bambino che sarebbe stato se non fosse nato in un’ambiente criminale e tragicamente insano. E sin dall’inizio è chiaro che Gabriele Santoro è determinato a correre qualunque rischio pur di proteggere Ciro, in nome di un amore profondo, più forte di quello che i veri genitori sono in grado di offrirgli.

Gabriele ha un fratello magistrato, Renato, con cui è in dissidio; un padre novantenne, Massimo, vecchio professore di filosofia; un compagno di vita, Biagio, da cui si è allontanato. Dunque, deve scegliere da solo e la sua integrità interiore lo fa decidere per la protezione di un innocente, anche se sa che potrebbe costargli la vita.

Inevitabile lo scontro con il fratello magistrato, è come se la compassione si confrontasse con la durezza della legge, che non fa eccezioni e potrà costargli un’accusa per sottrazione di minore. Roberto Andò, fresco vincitore del Premio Elba-Brignetti 2020, pone in modo toccante il problema dell’abitudine al male, di come la rassegnazione sia già di per sé peggiore del male stesso. Una riflessione profonda con una grande apertura morale: la misericordia supera sempre la giustizia? Sì, in questo caso il bene vince sul male, ma al prezzo del sacrificio espiatorio dell’innocente. Perciò, a ragione, il maestro dice: «Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito».

Ho lasciato per ultimi i colori di Napoli, illividita nella rassegnazione che fa perdere l’intensità del paesaggio. Per ricordarci che le sfumature più limpide nascono sempre dalla serenità interiore.

Un assaggio di lettura

Lo Scaffale della Freccia

Il servizio de “Il Caffè di RaiUno” sulla 48^ edizione del Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba

27 Set
27 Settembre 2020

Diretta streaming della cerimonia di premiazione del Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba

12 Set
12 Settembre 2020

Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Broken” di Don Winslow

09 Set
9 Settembre 2020

Pubblicato su “La Freccia”, settembre 2020

Don Winslow è autore di romanzi che hanno appassionato legioni di lettori in tutto il mondo, dalla trilogia sul cartello di Sinaloa a questo nuovo e riuscito esperimento di sei romanzi. Iscrivendosi così, anche lui, al club di autori di racconti brevi in cui, a nostro avviso, spiccano i 49 di Ernest Hemingway e quelli dell’Ohio di Sherwood Anderson. Broken in inglese significa rotto, spezzato. È un verbo forte, di pronuncia aspra, quasi onomatopeico, che vuol significare al lettore: «Qui è tutto rotto!». Il filo che unisce i sei racconti è proprio questo: «Non è importante come entri in questo mondo, comunque ci entri, ne uscirai spezzato». Winslow parla sempre degli stessi temi perché vive lì, tra il Texas e il Messico, e sa bene che i suoi personaggi sono corrotti, vendicativi e traditori magari destinati a redenzione, ma non c’è pietà neppure per i redenti. Ognuno dei romanzi descrive le stazioni di una sorta di Via Crucis del crimine: truffatori spregevoli e poliziotti non certo integerrimi, cacciatori di taglie e fuggitivi, uomini che cercano di salvare vite fuori e dentro il loro lavoro senza regole, in un clima cupo, di infernale e dantesca memoria. Winslow, che è stato investigatore privato, regista e attore, ma anche un ottimo surfista, nonché giornalista d’inchiesta sui cartelli della droga, mostra al lettore come la sua America sia ora spezzata e confusa. Il suo stile adrenalinico tiene incollati alle pagine, fa tremare e sorridere, commuovere e riflettere. Nella catena dei racconti inserisce con abilità personaggi che hanno già animato i precedenti romanzi, senza storpiarne la profonda ingenuità e l’umanità che emerge sempre e nonostante tutto.

Impareggiabile il cameo di Frankie, protagonista del suo grande romanzo L’inverno di Frankie Machine, che compare incastonato in Paradise, brillante di luce propria. L’autore ci fa assaggiare la bellezza di luoghi come New Orleans, violenta come la vendetta, San Diego con i suoi mitici surfisti, le Hawaii con le onde gigantesche e infine El Paso in Texas, al confine con il Messico, con i terribili e impietosi campi di detenzione voluti da Donald Trump. Ed è proprio nel romanzo finale, L’ultima cavalcata, che Winslow ci propone una violenta ribellione in nome di una giustizia e di un’umanità non contemplate dalle leggi. Saranno gli occhi di una bambina rinchiusa in una gabbia a cancellare l’indifferenza di Cal, poliziotto di confine, e a fargli ottenere la sua totale redenzione. Una storia provocatoria che vuol essere anche un atto d’accusa alle politiche d’immigrazione degli Usa. Non c’è mai nulla di scontato o di banale nelle parole di Winslow, che romanzo dopo romanzo ci porta, con il suo grandangolo, a indagare la condizione di un Paese trascurato, abbandonato a sé stesso, smarrito. Insomma, spezzato. L’autore ha una sua ricchezza interiore che è un tutt’uno con le avventure di alcuni grandi protagonisti cinematografici: quando leggiamo Rapina sulla 101 ci appaiono Steve McQueen e lo splendido Getaway! mentre la continua sovrapposizione di crudeltà dal vero e gli effetti metaforici come potrebbero non richiamare Kill Bill di Quentin Tarantino? Eva McNabb, la poliziotta che lavora al centralino e chiede al figlio Jimmy di vendicare suo fratello poliziotto torturato e ucciso atrocemente, è davvero una sorta di Ultima cavalcata, che segna un’infinità di punti di contatto tra il primo e il sesto romanzo. L’autore, certo, vuole ammonire sul momento particolare che vive oggi l’America, ma la profondità e la drammaturgia messe insieme in queste sei opere vanno al di là di una riflessione politica ed entrano di diritto nelle pagine della letteratura d’Oltreoceano.

Un assaggio di lettura

Lo Scaffale della Freccia

Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Qualcuno ti guarda”, di Lisa Jewell

07 Ago
7 Agosto 2020

Pubblicato su “La Freccia”, agosto 2020

Lisa Jewell, Qualcuno ti guarda, Neri Pozza, pp. 384, €19

Vi siete mai chiesti cosa vorreste davvero trovare in un romanzo? Forse scene di azione, dialoghi serrati, descrizioni di epoche passate? Di certo ognuno desidera livelli sempre crescenti di tensione: segreti da svelare, personaggi di cui fidarsi e di cui allo stesso tempo dubitare. Tutto questo, e molto altro, si trova nel nuovo romanzo di Lisa Jewell.

Il misterioso cadavere nel primo capitolo ci indurrebbe a pensarlo come un thriller, ma questa storia è un crescendo di ossessioni. Dopo aver conosciuto le normalissime vite dei protagonisti, iniziano a emergere particolari che stonano con l’apparente tranquillità del quadro generale. I dettagli si sommano, alimentando un senso di inquietudine crescente, arte nella quale Jewell è maestra.

Il lettore dubiterà inevitabilmente di ciascun personaggio e allo stesso tempo tiferà per lui. Ai capitoli finali ogni rivelazione, sempre inaspettata, si incasellerà in un inquietante puzzle di ossessioni e segreti.

L’autrice riesce con abilità a far sprofondare il lettore in un sobborgo-bene di Bristol, mostrandogli l’orrore della banalità quotidiana di una ristretta comunità, fino a trascinarlo in una spirale insospettabile. Il vortice delle ossessioni parte da Tom Fitzwilliam, preside del liceo di Melville, affascinante e carismatico, di cui tutte le donne sembrano innamorarsi e di cui anche gli uomini subiscono il fascino. Ombre del passato incombono su di lui, sulla moglie troppo perfetta e su Freddie, il figlio sedicenne, ossessionato dai vicini di cui spia morbosamente ogni mossa.

Il lettore si sente come seduto lì, accanto a Freddie, un po’ come un voyeur. Ed ecco che Jewell inquadra nel suo obiettivo (e nel nostro) Joey, una giovane donna poco più che ventenne che abita a due case di distanza. Joey, da subito, prova una forte attrazione per Tom, nonostante la differenza di età e il bel marito nuovo di zecca.

Incredibile come la scrittrice trasformi pian piano ognuno dei protagonisti in un personaggio diverso, come se l’essere sfiorati da passioni e segreti profondi basti a privarli del tutto delle loro maschere di rispettabilità.

Gli altri personaggi del romanzo gireranno intorno, seguendo il corso del vortice e facendosene fagocitare fino ad avere ruoli quasi da protagonisti.

E veniamo a tre riflessioni di carattere generale, che spero aiutino il lettore nei meandri della complessa trama a più strati. Primo. Ci sono tre film che aiutano a capire come spesso la realtà non è quella che sembra. Da La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock a Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, fino a Blow up di Michelangelo Antonioni, i protagonisti vedono scorrere la propria vita e le abitudini, ma la realtà si spezzetta in mille frammenti e talora è addirittura incomprensibile.

Secondo. Tutto il romanzo è avvolto in un’atmosfera di sesso “sospeso”: mai compiuto, mai esibito, spesso desiderato e poi reso addirittura malinconico. In tutti, e dico tutti i protagonisti, c’è una forte carica sensuale con risvolti che la lasciano sempre incompiuta. Sospesa, appunto.

In ultimo, il protagonista principale del libro resta il fermo immagine, riprodotto e interpretato in mille modi e con i diversi mezzi della moderna tecnologia. Resta lì, signore implacabile che calma le ansie di chi lo scatta, pietrifica frammenti di vita che talvolta vorremmo rimuovere. E aiuta più di ogni indagine psicologica la risoluzione di casi difficili, illuminandoli con il suo imperturbabile bianco e nero. Il finale? Non lo sveleremo, così come la trama. Ma sarà scioccante e imprevedibile, in perfetto stile Jewell.

Un assaggio di lettura

Lo scaffale della Freccia

Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Affidati a me”, di Serge Joncour

14 Giu
14 Giugno 2020

Pubblicato su “La Freccia”, giugno 2020

Serge Joncour, Affidati a me, Edizioni e/o, pp. 336, € 17,10

Nel titolo vi è già il nocciolo del romanzo: «Affidati a me», dice Serge Joncour al lettore, «e non ti troverai male». “Affidarsi”, non “fidarsi”. Senza cambiare vita, marito o la sua agiata esistenza, Aurore trova che «c’è qualcosa di nuovo, oggi nell’aria». Non si parla che di una storia d’amore, della ricerca di una boa nel mare mosso della vita. Ludovic e Aurore. Un uomo e una donna così diversi per estrazione sociale, idee, visione della vita. Una coppia improbabile. Eppure, oltre alla naturale ma non scontata attrazione fisica, tra loro crescono piano la fiducia e il rispetto.

Ludovic è un omaccione di 92 chili alto due metri, ex giocatore di rugby, sradicato dalla campagna per fuggire il dolore lancinante della morte di sua moglie. Tre anni sono passati, ma sembra ieri. Fa un lavoro difficile, misero e ingrato: recupera piccoli crediti dalla povera gente per conto di altra povera gente.

Aurore è una giovane borghese di gran classe, sposata con Richard e con due bei bambini. L’atelier di moda che dirige reca in alto il suo nome: Aurore Dessage.

Due universi opposti, in comune hanno solo il cortile di ingresso dello stesso stabile: lei scala A, appartamenti alti e ariosi; lui scala B, dimore piccoli e fatiscenti. Le finestre di fronte.

Istintivamente si evitano, una sorta, si direbbe oggi, di distanziamento sociale. Ma il destino congiura a intrecciare le loro vite scatenando una catena di eventi inimmaginabili. Lo scenario è quello del cortile, la quinta di fondo una Parigi affascinante e malinconica, avvolgente e tenera.

L’abilità dell’autore di questo romanzo tipicamente francese sta nel fare in modo che le vite di Ludovic e Aurore si intreccino pian piano privandoli della loro corazza sociale e lasciandoli nudi con le loro ansie, le paure, in un turbinio di emozioni talvolta sospeso da una sorta di ribrezzo fisico. Due anime in alto mare che galleggiano a malapena senza nessun appiglio.

Joncour, con la delicatezza di parole sempre appropriate (eccezion fatta per l’irreale scena del laghetto ghiacciato) immerge il lettore in una storia che via via prende forma sotto i suoi occhi, anche attraverso l’eccellente caratterizzazione dei personaggi, punto focale dell’intera struttura narrativa. Leggendo, viene fatto spontaneo di domandarsi come quelle due figure agli antipodi possano trovare un punto di contatto tale da scatenare un incontro così vitale e magnetico. Il desiderio violento, lontanissimo dagli schemi che regolano le loro vite, li pervaderà facendoli sentire più leggeri e più consapevoli di sé stessi. In quel suo presente così movimentato, Ludovic rappresenta per Aurore il punto di stabilità. Nonostante amarla porti con sé una serie di rischi, nonostante lei rappresenti tutto ciò che lo disgusta e da cui vorrebbe fuggire, l’attrazione, l’impellente bisogno di aiutarla e, sì, l’amore avranno la meglio. E quel vuoto sorprendente che nasce ogniqualvolta spariscono in sordina l’uno dall’altro, nella propria parte del cortile, si percepisce in ogni pensiero, in ogni silenzio. Ludovic però c’è sempre: sia per «allontanare i corvi che l’atterriscono», sia quando un guasto fa quasi esplodere il bagno di lei. E mi fermo qui per lasciarvi intatte le sensazioni dell’intera trama. Alle volte l’esistenza necessita di un’ancora di salvezza, così vicina e che niente ti chiede. Repose-toi sur moi.

Un assaggio di lettura

Lo scaffale della Freccia