Archive for month: Ottobre, 2014

Igor Mitoraj addio

09 Ott
9 Ottobre 2014

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Un testimone della fragilità contemporanea ed un titano della scultura classica

E’ morto in silenzio, allontanandosi da noi Igor Mitoraj, lo scultore dei giganti feriti.
Le sue opere in bronzo realizzate in grandi dimensioni ed in parte con arti mozzati erano un monito contro lo scempio delle sculture dell’antichità ma anche una riflessione sulla precarietà del vivere.

La critica lo ha definito un gigante della scultura del ‘900 radicato sino in fondo nella tradizione classica.

Tre i luoghi mitici nella sua formazione e del suo itinerario artistico: la Provenza, Parigi e soprattutto Pietrasanta con la sua cornice dei marmi delle apuane.

Impossibile guardando le sue opere non sentirsi precipitare nella perfezione della classicità.

Tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, non potrà mai dimenticare i pezzi di arti, le monumentali teste agiate che raccontano le fratture, la perdita d’identità e la stessa fragilità dell’essere umano contemporaneo. “Come il volto sensuale di Eros Bendato, adagiato nello scenario antico della Valle dei Templi di Agrigento, testimone di una compiutezza perduta che è al tempo stesso tensione verso l’universo”.

Là nella Valle dei Templi le 17 gigantesche statue bronze convivono con i capolavori dell’antichità e ricreano una perfezione periclea.

La madre polacca di origini ebraiche (e deportata dalla Polonia) sopravvive ai bombardamenti di Dresda e la stessa decide di riportarlo a Cracovia. Da lì Parigi e poi il Messico e l’influenza della grande cultura del rinascimento italiano.

E una volta giunto a Pietrasanta la lezione di Michelangelo (scolpire interi blocchi di pietra per sottrazione) deve essere stato un richiamo fortissimo.

Se ne va un grande del ‘900.

Non lascia eredi ma il viandante che attraversa la piccola Atene (Pietrasanta) o il turista affannato della Valle dei Templi non potranno che sentire il vento caldo ed avvolgente della bellezza universale e della precarietà del vivere.

Alberto Brandani

Amarcord, come era bella l’Autostrada del Sole

09 Ott
9 Ottobre 2014

30948607_autostrada-del-sole-ha-compiuto-50-anni-viva-automobile-0E’ una lunga striscia di asfalto che raccorda e racconta i luoghi essenziali dell’Italia. E che ha diramato altre strisce, verso altre città, altri paesaggi. E’ l’Autostrada del Sole, che già dal nome evoca un’idea di luce, di futuro, di progresso, della smania di vivere di una popolazione che voleva dimenticare rapidamente le macerie della guerra e proiettarsi verso la velocità, lo spostamento, il consumo.

Otto anni appena servirono per la sua costruzione, dal 1958 al 1964, quando, curiosa coincidenza, ci fu anche il picco dell’indice di natalità. Brevi autostrade già erano state costruite negli anni del regime fascista: la Napoli-Pompei, la Milano-Laghi. Piccole opere pensate più nell’ottica della gita domenicale fuori porta per gerarchi e borghesi. L’Autostrada del Sole no. Con i suoi quasi 800 km è la strada di un paese che è proiettato, prima che allo svago, alla produzione. C’è bisogno di velocità per trasportare le merci, innalzare i consumi, abbassare i prezzi, diffondere benessere. Due giorni, pause escluse, servono per andare da Milano a Napoli a fine anni Cinquanta. Con l’autostrada, quel percorso si compie in dieci ore. Un processo virtuoso che innesca a catena ulteriore ricchezza.

Ai bordi dell’autostrada aree un tempo depresse diventano industriali. Ancora oggi, basta voltare lo sguardo dal finestrino a Piacenza, Frosinone, Caserta per vedere quante fabbriche sorgono a pochi metri dai caselli. Un’opera coraggiosa, l’Autosole, con il suo tracciato appenninico in alta quota, costato decine di vite umane: un percorso avveniristico per il traffico di quegli anni che, a fatica, tra mille pastoie burocratiche, si sta adesso ammodernando. E proprio i lavori contemporanei sono la cartina di tornasole di un atteggiamento diverso che la politica e la società hanno verso le infrastrutture. Diffidenza contro fiducia. Disgregazioni contro sinergie. Rallentamenti contro velocità. Politici come Fanfani più volte batterono i pugni sul tavolo affinché si facesse presto a completare l’autostrada, perché lo sviluppo e la frenesia dell’Italia non potevano più attendere. Con nuove professioni che nascevano lungo quei chilometri: il poliziotto della stradale, il casellante, l’addetto al soccorso stradale, i baristi degli autogrill.

Oggi, cinquant’anni dopo, un paese completamente diverso continua a percorrere l’autostrada del Sole e tutte quelle costruite negli anni seguenti. Certo, i treni a velocità hanno ridotto la necessità dell’automobile per gli spostamenti rapidi di professionisti e turisti di città d’arte. Ma una adeguata rete autostradale resta un’esigenza imprescindibile per il trasporto delle merci, il turismo delle famiglie, i viaggi che non toccano i centri delle città. Resiste un deficit infrastrutturale a macchia di leopardo: la Civitavecchia-Livorno, la litoranea da Venezia a Rimini, la Jonica, la Fano-Grosseto, la Orte-Cesena, la Pedemontana lombarda, alcuni nodi nella pianura veneta. Strozzature che rallentano la produttività dell’Italia, paludi in cui ogni anno si consumano, nelle code, milioni di ore di lavoro. Ritrovare lo spirito decisionale dei costruttori dell’Autosole, il coraggio di sfidare le convenzioni (molti erano contrari alla progettazione delle rampe di svincolo, preferendo le più economiche ma pericolose intersezioni a raso), la capacità di imprimere qualcosa che resti nelle generazioni a venire: impegni che ogni classe politica che abbia a cuore la bellezza e lo sviluppo dell’Italia dovrebbe tenere a mente. Cercando, magari, grazie alla tecnologia contemporanea, di costruire un’autostrada in meno di otto anni. I record si battono, non si ammirano.

Alberto Brandani – Pres. Fondazione Formiche

I disperati di Roma

03 Ott
3 Ottobre 2014

via-del-babuinoI disperati di Via del Babuino

Via del Babuino viene abbellita ma i residenti non se ne accorgono perché, a loro dire, il Comune di Roma si è “dimenticato” di organizzare la possibilità di accesso per idraulici, elettricisti, muratori. Forse basterebbe copiare Milano.

I disperati di Viale Marconi

Sempre di disperazione si tratta, ma nel senso che a detta dei residenti la zona è divenuta “una brutta zona” con cittadini che di notte occupano panche, panchine, fontanelle e creano un clima a dir poco di disagio.

Il Corriere della Sera, la lama tagliente di De Bortoli e la sulfurea vignetta di Giannelli

02 Ott
2 Ottobre 2014

vignettagiannelliUn esame lessicale dell’ormai famoso articolo di De Bortoli contro Renzi ci ha alla fine sorpreso: lo strumento linguistico sembra non essere di De Bortoli. Siccome vogliamo escludere che altri abbiano scritto l’articolo si può solo concludere che l’evidenza delle cose dette fosse tale da dovere cambiare anche il linguaggio. Renziani e anti-renziani commentavano nei bar… è tutto vero. La sulfurea vignetta di Giannelli su Bersani che dice è forse più incisiva del tanto osannato articolo. Si vede un Bersani di colpo invecchiato, incattivito, inciprignito con la calvizie che emana fumi infernali e che dice a se stesso: “Il mio 25? Sono voti rossi, ma con lui sono diventati verdini”. Rimandando prima a un problema etico (il furto dei voti rossi) e poi ad un problema politico (voti rossi divenuto verdini) con tutto ciò che questo comporta sul piano dell’analisi e del giudizio politico. Ai nostri pochi lettori l’arduo dilemma: poté più la tagliente lama di De Bortoli (affilata da non sappiamo quale arrotino) o la sulfurea inventiva di Bersani-Giannelli.

Alberto Brandani – Pres. Fond. Formiche