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Come sconfiggere, per davvero, l’Isis

08 Ott
8 Ottobre 2015

Berlusconi e Putin

Quando gli studiosi esamineranno la politica estera di Silvio Berlusconi si accorgeranno che l’uomo non aveva sbagliato quasi nulla. Aveva mandato in Europa Emma Bonino e Mario Monti (udite! udite!), stabilizzato il Mediterraneo con l’accordo con Muammar Gheddafi, rasserenato il nuovo zar Vladimir Putin con una relazione del tutto speciale e tranquillizzato i conservatori americani con il suo indiscutibile anticomunismo.
Questo lo dico perché non vorrei che le lenti ideologiche ci impedissero di vedere la realtà dei fatti nel Medio Oriente.

1. Putin non accetterà mai, formalmente, un ruolo subalterno agli Stati Uniti. Lo potrà accettare di fatto solo se le aquile imperiali della grande Russia potranno apparire tali;
2. Dopo i bombardamenti russi sull’Isis arrivano quelli francesi e si annunciano con molti distinguo quelli di altri Paesi, compreso il nostro.

È di tutta evidenza, mi pare, che il progetto di terra con i volontari caldeggiato dal Pentagono è clamorosamente fallito, con la sprezzante ferocia di tutti i commentatori dei media americani.
La lotta armata sul territorio contro l’Isis che ha dalla sua soldi, armi e purtroppo weltanschauung, la possono combattere o le truppe scelte americane o i curdi. Tutto il resto è poesia per rasserenare il dormiente Occidente.
Siamo sempre stati critici delle politiche repressive di Bashar al-Assad, ma mentre l’Occidente discute di lui, l’Isis attaccherà l’unico vero suo oppositore: le milizie curde. Le coalizioni dell’occidente sanno cosa fare, quando vogliono.
Abbiamo visto, ad esempio, che alla fine sono stati affondati settecento barconi dei pirati scafisti, ma il dibattito ha impiegato mesi e mesi. Speriamo che nella vicenda dell’Isis i governi occidentali recuperino lucidità politica, rapidità operativa e comune dimensione strategica.

A tutto gas. Putin, l’Ucraina e le relazioni Usa-Unione Europea

28 Feb
28 Febbraio 2015

Rete Gas Ucraina

La vicenda dell’Ucraina è stata sottovalutata sin dall’inizio ed oggi ci troviamo in una difficoltà estrema nel capire se Putin intenda fermarsi ai confini già di fatto tenuti o se voglia andare comunque avanti.
I mondi dell’energia e in particolare quello del gas naturale ci possono illuminare una scena abbastanza fosca. Vediamo cosa dicono le principali fonti internazionali.
Il gas naturale ha un ruolo strategico per Mosca, soprattutto nelle relazioni con l’Unione europea e l’Ucraina, pur rappresentando soltanto il 14% delle entrate derivanti dalle esportazioni (contro il 50% di quelle originate da greggio e prodotti petroliferi). Con l’insediamento di Putin, la fornitura di gas naturale è diventato uno strumento politico che ha consentito alla Russia di affermare la propria influenza sul mercato europeo.
A causa della rete di gasdotti esistente, numerosi Paesi dell’UE non hanno finora avuto alternative al rifornimento di gas dalla Russia. L’egemonia russa sul mercato europeo si sta però indebolendo. Diversi fattori concorrono a frenare e riorientare la domanda espressa dagli acquirenti europei: la caduta dei prezzi di petrolio e gas, lo sfruttamento dello shale gas statunitense, le politiche energetiche attuate dall’UE.
Numerosi contratti di fornitura di Gazprom, la più grande compagnia russa di estrazione e vendita del gas, sono legati all’andamento del prezzo del petrolio, il cui crollo sta alimentando la flessione del prezzo medio del gas (previsioni per il 2015: una riduzione al livello di 200-250 dollari per migliaia di metri cubi. Nel primo trimestre del 2014 il prezzo era pari a 352.70 dollari).
Gli acquirenti europei stanno chiedendo condizioni economiche di fornitura più favorevoli in sede di rinegoziazione dei contratti, a partire dall’Austria. La stessa Ucraina ha ridotto le proprie importazioni dalla Russia (2013: 95%; 2014: 70%). La compagnia ucraina Naftogaz prevede che nel 2015 almeno il 60% del gas naturale arriverà dall’UE, anche grazie ai progetti di quest’ultima volti a promuovere i flussi dall’Ovest verso Est, in particolare attraverso la Slovacchia.
Lo sfruttamento statunitense dello shale gas e di altri gas non convenzionali ha frenato la domanda europea, provocando minori importazioni di carbone da parte degli Stati Uniti. Ciò ha determinato il crollo del prezzo europeo del carbone e rimesso in discussione, ad esempio, le scelte energetiche della Germania. Quest’ultima sta sfruttando sempre di più il carbone per la produzione di energia elettrica.
L’UE ha lavorato nella direzione di “depoliticizzare” la fornitura del gas naturale, a partire dalla separazione delle fasi di produzione da quella del trasporto. Gazprom non potrà più essere impegnata su entrambi i fronti almeno in Europa.
Gazprom sta reagendo a tali dinamiche reimpostando la propria strategia di sviluppo. Dopo la cancellazione del South Stream project, ha annunciato di volere realizzare un nuovo gasdotto sotto il Mar Nero che consentirà di inviare il gas in Europa tramite la Turchia, aggirando così l’Ucraina. L’accordo con la Turchia dovrebbe essere firmato nel secondo trimestre del 2015, con l’obiettivo di avviare la fornitura per la fine del 2016. Secondo alcuni analisti, tra le intenzioni di Gazprom c’è quella di spostare l’attenzione dal mercato europeo a quello asiatico, in particolare pianificando nuovi gasdotti verso la Cina.
Questo il quadro ad oggi. Nei prossimi giorni vedremo quanto l’America intenda utilizzare l’espansionismo di Putin per rilanciare il trasporto in Europa di gas americano attraverso apposite navi.
Siamo solo agli inizi di una sfida epocale.